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Solo il 20% seguito nel post infanzia
Roma, 23 set. (askanews) – “Uno studio dal titolo ‘Lost in transition’ evidenzia come nella transizione i giovani adulti perdano trattamenti e cure: dall’80% dei bambini che ricevono l’assistenza si arriva a solo il 20% nel passaggio dalla fase infantile a quella adolescenziale. Chi latita sono proprie le strutture amministrative dell’ospedale perché riluttanti a mettere risorse, invece serve una regia che tenga conto delle varie esigenze nell’assistenza ospedaliera e delle varie età, quello che nel Regno Unito é chiamato “coordinatore della transizione”, figura su cui l’Imperial College si è speso più volte con alcune ricerche”. È il past president della Società Italiana di Pediatria (SIP), Giuseppe Saggese, a mettere in guardia sulla necessità di rivedere il sistema di assistenza sanitaria agli adolescenti proprio nell’ottica di una genitorialità responsiva.
Saggese, che è anche ordinario di pediatria all’Università di Pisa e che è stato fondatore e presidente della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA), spiega come serva agire sul nesso che si crea tra la mancata assistenza ai giovani adulti e il ruolo dei genitori, nel corso del XXXIII Congresso della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS).
“Un adolescente su cinque (20%) – sottolinea Saggese – ha una malattia cronica su cui esiste un problema assistenziale importante, a cui non si è ancora data risposta: la transizione nelle cure dal pediatra al medico dell’adulto. Nella fase di transizione peggiora la malattia di base- ricorda lo specialista- crolla l’assistenza medica al ragazzo o alla ragazza. Il pediatra per questo deve partire presto con il suo intervento, ma l’assistenza deve essere presente anche in questa fase transitoria, cosa che invece non accade. Basti pensare al Piano delle Cronicità, con cui dal 2016, quando è stato rilasciato dal Ministero della Salute, ad oggi è stato fatto pochissimo”.
Come possono i genitori svolgere il proprio ruolo nel rispetto della genitorialità responsiva? “In questa fase di passaggio anche il ruolo dei genitori appare inadeguato – spiega il docente – perché, senza volerlo, giocano contro questo passaggio: vorrebbero restare nell’assistenza pediatrica, ma per il bene del proprio figlio devono cambiare mentalità. Il genitore responsivo capisce, quindi, che il setting di cure, sulla strada della via adulta, deve cambiare per favorire la transizione”.
La relazione di Saggese, in tandem con l’intervento della pediatra Iride Dello Iacono, intervenuta sulla genitorialità responsiva per il bambino, si concentra sul senso dell’adolescenza: “È un anello di congiunzione non solo tra genitori e figli, che presto potranno diventare a loro volta genitori, è anche il periodo in cui si forma la genitorialità responsiva nel giovane adulto”, precisa il past president della SIP.
In sostanza l’adolescenza è una fase di passaggio duplice, in cui l’adolescente cerca di raggiungere una propria identità, di staccarsi dai genitori e di acquisire un’autonomia.
“Il genitore responsivo sa intercettare il distacco dei figli come segno di positività e sa cogliere nel momento l’occasione di rafforzamento del rapporto- afferma ancora Saggese- con una presenza autorevole, ma non autoritaria, ed è in grado di seguire il proprio figlio, ma soprattutto di manifestare sensibilità per le richieste e le esigenze del ragazzo o della ragazza. Quando ci sono problematiche, quali anche la trascuratezza, l’abuso di sostanze da parte dei genitori, o magari una certa fragilità familiare, i genitori tendono a mantenere i figli, inconsapevolmente o meno, in una condizione di scarsa indipendenza. È proprio in questa fase- rimarca- che possono svilupparsi nell’adolescente comportamenti a rischio, dalla dipendenza da sostanze ai disturbi alimentari, solo per citarne alcuni. I genitori devono essere in grado di vigilare sugli adolescenti in questa fase delicata, ma pure prevenire le problematiche, attraverso un recall educativo: è centrale che riemerga la solidità del rapporto tra genitore e figlio costruito durante l’infanzia”.
Fonte: askanews.it
Partita la settimana di sensibilizzazione "Match it now"
Le iscrizioni al registro dei donatori di midollo osseo sono in lieve ripresa ma siamo ancora molto lontani dai livelli pre-pandemia: è il quadro che emerge dai dati elaborati dal Registro IBMDR e dal Centro nazionale trapianti in occasione di “Match it now”, la settimana nazionale per la donazione del midollo osseo e delle cellule staminali emopoietiche, in corso fino a sabato 25 settembre.
I nuovi potenziali donatori reclutati in Italia dal 1 gennaio al 31 agosto 2021 sono stati 15.431, il 12,1% in più rispetto ai 13.768 iscritti nello stesso periodo dell’anno precedente. Un segnale positivo, ma ancora insufficiente se si vuole tornare ai numeri di prima dell’emergenza Covid: i donatori iscritti nei primi otto mesi del 2019 erano stati 25.593, oltre 10mila in più.
A pesare negativamente sulle nuove iscrizioni è, da un lato, il timore del contagio che allontana le persone dai centri donatori degli ospedali, anche se comunque sono assicurati percorsi di ingresso Covid-free, e dall’altro, soprattutto, la drastica riduzione delle attività sociali che ha per molti mesi impedito, e adesso comunque reso più complicati da organizzare, gli eventi di reclutamento nelle piazze e nei luoghi pubblici promossi dalle associazioni dei donatori e dalla rete trapiantologica del Servizio sanitario nazionale.
“Il Covid, costringendoci in casa, ha rallentato l’ingresso dei nuovi potenziali donatori, ma rimane alta la propensione alla donazione dei ragazzi e dei giovani, ovvero di quella fascia d’età che ha i requisiti per iscriversi al Registro IBMDR”, spiega il direttore del Centro nazionale trapianti Massimo Cardillo. Per aderire, infatti, è necessario avere tra i 18 e i 35 anni, godere di buona salute e pesare più di 50 chili. “Da un’indagine condotta dal Cnt con il portale Skuola.net è emerso che quasi l’80% dei ragazzi dai 14 ai 25 anni è favorevole alla donazione ma ne sa troppo poco”, continua Cardillo. “Sono ancora molto diffuse vere e proprie bufale, per esempio in tanti credono che la donazione sia dolorosa o pericolosa, e invece nella stragrande maggioranza dei casi si effettua con le stesse modalità di una donazione di piastrine e non comporta rischi particolari”. Quindi donare non fa male, anzi, salva la vita: “Ogni anno sono circa 2mila i pazienti di ogni età, bambini inclusi, per i quali viene attivata la ricerca di un donatore per un trapianto di midollo”, conclude il direttore del Cnt, “la probabilità di trovare un ‘gemello genetico’ compatibile per una donazione è molto bassa, circa una su 100mila: è per questo che più persone sono iscritte al registro donatori, più pazienti potranno sperare di salvarsi da malattie letali”.
Informare correttamente e spronare i ragazzi alla donazione sono proprio gli obiettivi di “Match it now”, iniziativa promossa da Ministero della Salute, Centro nazionale trapianti, Centro nazionale sangue, Registro IBMDR e dalle associazioni Admo, Adoces e Adisco, con il patrocinio di Rai per il Sociale. In programma ci sono oltre un centinaio di appuntamenti in altrettante città italiane, nei quali i volontari delle associazioni incontreranno i più giovani e con un semplice tampone salivare potranno inserire i nuovi potenziali donatori nel Registro IBMDR, il tutto nel pieno rispetto delle normative anti-Covid vigenti. Sono previsti inoltre open day nei centri trasfusionali di molti ospedali. La campagna di informazione corre anche online, grazie al supporto di circa quaranta influencer tra i più seguiti dai ragazzi che inviteranno a visitare il sito www.matchitnow.it, dove in pochi clic si arriva al modulo di pre-registrazione per essere ricontattati e fare successivamente il tampone salivare. Il messaggio sarà rilanciato anche dai profili delle principali università italiane. Infine, in quattro regioni (Emilia Romagna, Liguria, Piemonte e Friuli Venezia Giulia) è possibile ricevere direttamente a domicilio il kit per il tampone. Tutte le informazioni sono disponibili su www.matchitnow.it.
Fonte: askanews.it
Errata alimentazione spesso causa carenza minerale, tonno un alleato
Partiamo con una buona notizia: fino a poco tempo fa quella dello iodio è stata tra le carenze più diffuse tra gli italiani, ma se nel mondo riguarda tuttora il 29% della popolazione, secondo l’ultimo report condotto dall’Osservatorio nazionale per il monitoraggio della iodoprofilassi in Italia dell’Iss l’Italia avrebbe raggiunto la iodosufficienza (da un’indagine su 4mila bambini).
Il ministero della Salute è ormai da anni impegnato in campagne mirate e parte della popolazione italiana ha compreso l’importanza dell’utilizzo del sale iodato per la prevenzione dei disordini da carenza iodica. Tuttavia, questi dati rappresentano solo il primo passo per consolidare il programma nazionale di iodoprofilassi e sono ancora molte le cose da sapere per gli italiani sullo iodio: se 7 italiani su 10 sanno correttamente che è un “sale minerale che si assume con l’alimentazione”, quasi la metà degli italiani pensa che lo iodio si trovi solamente nell’aria di mare. È quanto emerge dalla ricerca “Tonno in scatola e iodio: quello che gli italiani ancora non sanno”, realizzata da Doxa per Ancit (Associazione conservieri ittici e delle tonnare), condotta nella prima settimana di settembre su un campione di 1.300 italiani tra i 18 e i 74 anni.
Sugli aspetti principali c’è una conoscenza sufficiente, ma in media, il 42-43% del campione non sa ancora che lo iodio regola il controllo della temperatura corporea, favorisce lo sviluppo del sistema nervoso centrale e dello scheletro, è importante per lo sviluppo e la crescita del feto e dei bambini e fa bene al cuore e alla circolazione. La carenza di iodio è dovuta sostanzialmente a una errata alimentazione e questo minerale si trova in molti cibi ma la conoscenza degli italiani si limita a pochi alimenti. Otto italiani su 10 sanno della ricchezza di iodio nel sale marino integrale e nel pesce in generale ma solo tre italiani su 10 sanno che lo iodio è presente nel tonno in scatola, uno degli alimenti più amati dagli italiani (presente nel 94% delle dispense italiane – dati Doxa/ANCIT), così come nelle altre conserve ittiche: 100 gr di tonno in scatola forniscono in media 14 µg di iodio, apportando il 10% del fabbisogno quotidiano (Fonte: tabelle nutrizionali dell’Istituto europeo di oncologia). “L’apporto di iodio del pesce fresco e in scatola, proprio come il tonno o le altre conserve ittiche – commenta Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista all’Università campus Biomedico di Roma – è ottimale per la dieta in generale, anche nella terza e quarta età. Lo iodio consente il regolare sviluppo ed accrescimento nell’età evolutiva, ottimizza il metabolismo e facilita un eccellente equilibrio psicofisico. Inoltre, va ricordato che, anche se di passi avanti ne sono stati fatti tanti, la iodiosufficienza si è raggiunta anche grazie alla diffusione delle conserve ittiche e del tonno in scatola nelle abitudini italiane”.
Lo iodio è un micronutriente minerale presente naturalmente nel nostro organismo (circa 10-20 mg) ma troppo spesso sottovalutato. È situato principalmente nella tiroide, una ghiandola che produce gli ormoni triiodotironina (T3) e tiroxina (T4), che svolgono un ruolo determinante nelle fasi dell’accrescimento e dello sviluppo. È inoltre essenziale per la salute delle nostre cellule. “Favorisce il metabolismo dei macronutrienti aumentando il metabolismo basale, stimola la sintesi proteica – continua Piretta – aiuta a rafforzare il sistema immunitario, le prestazioni del cervello, aiutando a prevenire il decadimento cognitivo, e a regolare la temperatura corporea, soprattutto durante il cambio di stagione, quando la spossatezza e la sonnolenza sono più evidenti e causate dal cambiamento di temperatura”. Secondo i livelli di assunzione raccomandati di nutrienti, il fabbisogno giornaliero di iodio nell’adulto è di 150 µg, nel bambino e nell’adolescente è tra i 90 e i 130 µg, mentre il fabbisogno aumenta fino a 200 µg al giorno in gravidanza e fino a 220 µg durante l’allattamento, necessario per un corretto sviluppo neurocognitivo. E l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha inoltre definito i livelli massimi tollerabili che risultano essere 600 µg /die per adulti (incluse le donne durante la gravidanza e allattamento) e compresi tra 200 e 500 µg /die per bambini e adolescenti.
Fonte: askanews.it
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