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Errata alimentazione spesso causa carenza minerale, tonno un alleato
Partiamo con una buona notizia: fino a poco tempo fa quella dello iodio è stata tra le carenze più diffuse tra gli italiani, ma se nel mondo riguarda tuttora il 29% della popolazione, secondo l’ultimo report condotto dall’Osservatorio nazionale per il monitoraggio della iodoprofilassi in Italia dell’Iss l’Italia avrebbe raggiunto la iodosufficienza (da un’indagine su 4mila bambini).

Il ministero della Salute è ormai da anni impegnato in campagne mirate e parte della popolazione italiana ha compreso l’importanza dell’utilizzo del sale iodato per la prevenzione dei disordini da carenza iodica. Tuttavia, questi dati rappresentano solo il primo passo per consolidare il programma nazionale di iodoprofilassi e sono ancora molte le cose da sapere per gli italiani sullo iodio: se 7 italiani su 10 sanno correttamente che è un “sale minerale che si assume con l’alimentazione”, quasi la metà degli italiani pensa che lo iodio si trovi solamente nell’aria di mare. È quanto emerge dalla ricerca “Tonno in scatola e iodio: quello che gli italiani ancora non sanno”, realizzata da Doxa per Ancit (Associazione conservieri ittici e delle tonnare), condotta nella prima settimana di settembre su un campione di 1.300 italiani tra i 18 e i 74 anni.

Sugli aspetti principali c’è una conoscenza sufficiente, ma in media, il 42-43% del campione non sa ancora che lo iodio regola il controllo della temperatura corporea, favorisce lo sviluppo del sistema nervoso centrale e dello scheletro, è importante per lo sviluppo e la crescita del feto e dei bambini e fa bene al cuore e alla circolazione. La carenza di iodio è dovuta sostanzialmente a una errata alimentazione e questo minerale si trova in molti cibi ma la conoscenza degli italiani si limita a pochi alimenti. Otto italiani su 10 sanno della ricchezza di iodio nel sale marino integrale e nel pesce in generale ma solo tre italiani su 10 sanno che lo iodio è presente nel tonno in scatola, uno degli alimenti più amati dagli italiani (presente nel 94% delle dispense italiane – dati Doxa/ANCIT), così come nelle altre conserve ittiche: 100 gr di tonno in scatola forniscono in media 14 µg di iodio, apportando il 10% del fabbisogno quotidiano (Fonte: tabelle nutrizionali dell’Istituto europeo di oncologia). “L’apporto di iodio del pesce fresco e in scatola, proprio come il tonno o le altre conserve ittiche – commenta Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista all’Università campus Biomedico di Roma – è ottimale per la dieta in generale, anche nella terza e quarta età. Lo iodio consente il regolare sviluppo ed accrescimento nell’età evolutiva, ottimizza il metabolismo e facilita un eccellente equilibrio psicofisico. Inoltre, va ricordato che, anche se di passi avanti ne sono stati fatti tanti, la iodiosufficienza si è raggiunta anche grazie alla diffusione delle conserve ittiche e del tonno in scatola nelle abitudini italiane”.

Lo iodio è un micronutriente minerale presente naturalmente nel nostro organismo (circa 10-20 mg) ma troppo spesso sottovalutato. È situato principalmente nella tiroide, una ghiandola che produce gli ormoni triiodotironina (T3) e tiroxina (T4), che svolgono un ruolo determinante nelle fasi dell’accrescimento e dello sviluppo. È inoltre essenziale per la salute delle nostre cellule. “Favorisce il metabolismo dei macronutrienti aumentando il metabolismo basale, stimola la sintesi proteica – continua Piretta – aiuta a rafforzare il sistema immunitario, le prestazioni del cervello, aiutando a prevenire il decadimento cognitivo, e a regolare la temperatura corporea, soprattutto durante il cambio di stagione, quando la spossatezza e la sonnolenza sono più evidenti e causate dal cambiamento di temperatura”. Secondo i livelli di assunzione raccomandati di nutrienti, il fabbisogno giornaliero di iodio nell’adulto è di 150 µg, nel bambino e nell’adolescente è tra i 90 e i 130 µg, mentre il fabbisogno aumenta fino a 200 µg al giorno in gravidanza e fino a 220 µg durante l’allattamento, necessario per un corretto sviluppo neurocognitivo. E l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha inoltre definito i livelli massimi tollerabili che risultano essere 600 µg /die per adulti (incluse le donne durante la gravidanza e allattamento) e compresi tra 200 e 500 µg /die per bambini e adolescenti.

Fonte: askanews.it

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La pediatra Maria Enrica Quirico presenta il suo nuovo libro.
Un dialogo tra le cure tradizionali e i rimedi naturali, senza battaglie ideologiche, ma con la consapevolezza di voler contrastare l’uso smodato di farmaci, spesso non necessari, ma altrettanto spesso prescritti. Maria Enrica Quirico è una pediatra e un’omeopata che ha scritto il libro “Rimedi naturali per la mamma e il suo bambino – Cure omeopatiche e fiori di Bach dalla gravidanza alla prima infanzia”, uscito per le Edizioni Lswr.
“La relazione tra le cure naturali e le cure tradizionali – ha detto il medico ad askanews – dovrebbe essere una relazione di interazione. Ogni cura deve aiutare l’altra e deve essere scelta dal pediatra che segue il bambino a seconda della situazione che si trova a dover affrontare. Non vedo mai antitesi tra l’una e l’altra, deve sempre esserci una sinergia e ci deve essere la possibilità di capire quando utilizzare una e quando l’altra. Per fare questo bisogna conoscerle entrambe”.
Il libro è nato come una sorta di diario, in cui l’autrice ha raccolto gran parte delle domande che nell’arco della sua carriera si è sentita rivolgere dalle mamme in attesa e dalle neo mamme. E presenta una visione che si fonda sempre e comunque su solide basi scientifiche.
“Non stiamo più parlando di terapie omeopatiche dell’antichità – ha aggiunto la dottoressa – stiamo parlando di low dose therapy, bensì di medicine omeopatiche moderne, che hanno basi scientifiche e sono state sperimentate e riconosciute come efficaci. E’ sbagliatissimo vedere o nero o bianco: o utilizzo questo metodo o utilizzo l’altro. Utilissimo invece capire in base alle diverse situazioni quale utilizzare e, se necessario, anche entrambe”.
Il ricorso all’omeopatia, in particolare, è consigliato per creare un percorso di cura costruito sulla persona, sulle sue caratteristiche. Perché pure a una stessa patologia si riscontrano spesso risposte molto diverse. “Un bambino – ha concluso Maria Enrica Quirico – può avere allergia a un polline o a un inalante e manifestarla semplicemente con della tosse. Un altro bambino può avere invece con un’allergia una situazione pesantissima di broncospasmo o laringospasmo che richiede la terapia cortisonica. E noi gliela diamo, assolutamente. Però poi vediamo di costruire con questo bambino una situazione di base di rinforzo che lo aiuti a non arrivare più a queste situazioni estreme”.
Nell’ottica di una cultura della cura che possa essere a tutto tondo.

Fonte: askanews.it 

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Federazione UNIAMO chiede al governo di promuovere il modello del nostro Paese.
Garantire il diritto di salute a tutti i bambini, a prescindere dal Paese di nascita. Questo l’obiettivo dell’azione promossa da UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare e Eurordis – Rare Diseases Europe in accordo con il Gruppo di Lavoro Eurordis multidisciplinare sullo Screening Neonatale. L’Italia è leader in Europa nell’implementazione dello Screening Neonatale: non solo un test alla nascita, gratuito e garantito per tutti i nuovi nati, ma un vero e proprio percorso di diagnosi precoce e presa in carico di diverse malattie congenite. Patologie per le quali esistono interventi terapeutici specifici che, se intrapresi prima della manifestazione dei sintomi, sono in grado di migliorare in modo significativo la prognosi della malattia e la qualità di vita dei bambini, evitando gravi disabilità e, talvolta, la morte.
“Ancora una volta UNIAMO promuove una battaglia di civiltà per garantire il diritto di salute di ogni bambino, a prescindere da dove sia nato”, afferma Annalisa Scopinaro, Presidente UNIAMO – FIMR. “La nostra Federazione ha sempre sostenuto, insieme all’Associazione AISMME, il percorso SNE, da ben prima della Legge Taverna; le conquiste delle malattie rare – sottolinea – sono un paradigma di sanità e possono essere di supporto a tutta la cittadinanza”.
La proposta di UNIAMO prende spunto dalle marcate differenze attualmente esistenti fra i programmi di Screening Neonatale nei diversi Paesi europei, con l’obiettivo dell’equità di accesso in tutta Europa a programmi di prevenzione secondaria, come lo screening, che possono salvare le vite dei bambini.
La Federazione UNIAMO, a nome della comunità italiana delle persone con malattia rara e insieme ad EURORDIS, chiede al Ministro della Salute, Roberto Speranza, e al Sottosegretario con delega alle Malattie Rare, Pierpaolo Sileri, di farsi promotori in Europa di questo modello di buona pratica, affinché tutti i bambini europei e le loro famiglie possano godere di questo fondamentale diritto di salute.
Con la campagna #SoloUnCampione, UNIAMO invita la comunità scientifica insieme alle Associazioni, ai volti noti del mondo dello spettacolo e dello sport ad aderire all’appello rivolto al governo italiano. Sul sito www.uniamo.org è infatti possibile sottoscrivere la lettera che la Federazione, insieme ad Eurordis e alle 150 Associazioni affiliate, ha rivolto al Governo per chiedere di difendere il diritto alla salute di tutti i neonati.
Prima fra tutti ad accogliere la call to action, la dottoressa Domenica Taruscio, Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità e Responsabile Scientifico del Centro di Coordinamento degli Screening Neonatali: “Sono davvero onorata di essere la prima Ambassador della campagna #SoloUnCampione e di sostenere in prima persona l’azione promossa da UNIAMO e da Eurordis. In Italia il Centro di Coordinamento degli Screening Neonatali collabora con le Regioni e le Province Autonome per promuovere l’applicazione uniforme sul territorio nazionale della diagnosi precoce neonatale e la diffusione di buone pratiche. È bene che questo modello venga promosso in tutta Europa per raggiungere una maggiore equità nella diagnosi precoce, nella conseguente presa in carico e nel trattamento dei piccoli pazienti, a beneficio dei bambini e delle loro famiglie”.
Per aderire alla campagna #SoloUnCampione: www.uniamo.org.

Fonte: askanews.it 

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Non devono mai mancare in una dieta equilibrata.
Varietà, quantità, qualità. Queste le tre parole magiche che ci devono guidare nella scelta delle proteine, anche in estate. Fondamentali per la nostra alimentazione, e la salute in generale, insieme a lipidi e carboidrati, fanno parte del gruppo dei macronutrienti di cui il nostro corpo ha bisogno quotidianamente, nelle giuste proporzioni secondo tabelle specifiche: il 55/60% delle calorie quotidiane deve provenire dai carboidrati, il 15-20% dalle proteine e il 25-30% dai grassi.
uca Avoledo, biologo e nutrizionista, esperto in naturopatia presso la Clinica del Cibo di Milano, spiega: “le proteine non devono mai mancare in una dieta sana e equilibrata, e anche nel periodo estivo ne servono le giuste quantità per soddisfare il nostro fabbisogno quotidiano. Esistono tanti tipi di proteine o, più precisamente, di fonti proteiche: carne, pesce, uova, latte e derivati, yogurt e formaggi, che sono fonti proteiche di origine animale. Poi ci sono quelle di origine vegetale, che forniscono comunque un certo apporto di proteine, benché di minore qualità, come legumi e frutta a guscio, quindi noci, mandorle, nocciole e pinoli”.
Le proteine non sono tutte uguali: possono essere animali, più ricche di amminoacidi essenziali, per giunta contenuti nelle giuste proporzioni, o vegetali. “Troviamo proteine in tutti i vegetali – sottolinea Luca Avoledo – non solo nei legumi e nei semi, ma anche nei cereali e persino in frutta e verdura, ma, in questi ultimi alimenti, di qualità ulteriormente inferiore e, spesso, anche quantitativamente sottorappresentate”.
“Sono infatti definite proteine di basso o medio valore biologico – prosegue l’esperto – mentre quelle che si trovano in carne, uova, pesce e latticini sono di alto valore biologico. Consumando regolarmente alimenti animali possiamo soddisfare facilmente il fabbisogno proteico”. Impossibile soddisfarlo con altre tipologie di proteine? “Ci si può riuscire anche con le proteine vegetali – risponde Avoledo – ma è fondamentale comporre con la massima attenzione la dieta, sin dalla mattina e per tutta la giornata, contemplando la più ampia gamma di alimenti vegetali e nelle giuste quantità per cercare di ottenere un adeguato apporto proteico. Non esiste, però, alcun alimento vegetale che sostituisca la carne”.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la quantità di proteine da assumere quotidianamente corrisponde a poco meno di 1 grammo per ogni chilo di peso corporeo, per l’adulto in normali condizioni di salute. In molte circostanze e fasi della vita (crescita, gravidanza, senescenza ecc.) anche di più. E bisogna considerare che 100 grammi di carne, alimento proteico per antonomasia, non corrispondono a 100 grammi di proteine, ma all’incirca solo a 20″.
Un altro errore da non commettere è quello di seguire diete solo proteiche per perdere peso. “Consiglio di evitare le diete solo proteiche che vanno tanto di moda per dimagrire – evidenzia Avoledo – al di là dei danni alla salute che questo genere di diete possono provocare, quando si mangiano solo proteine il nostro corpo è costretto a convertire una parte di queste in energia, non utilizzandole quindi per lo scopo preposto. Per dimagrire bisogna mangiare una quantità ragionevole di proteine ma anche di carboidrati e grassi, nell’ambito di una dieta correttamente impostata”.
Infine, proteine sì oppure no dopo i 50 anni? “Sì senza dubbio -conclude Avoledo – l rischio di malnutrizione proteica è molto diffuso negli over 50, insieme alla falsa credenza che con l’età la carne debba essere diminuita o eliminata. Ridotti apporti proteici possono facilitare la sarcopenia, la perdita di massa e forza muscolare connessa, che è una condizione che promuove tutta una serie di patologie che vengono racchiuse con il nome di fragilità dell’anziano, dal deficit cognitivo a quello fisico. Ancor più dopo i 50 anni, raccomandiamo, quindi, il consumo di proteine, nella giusta quantità, soprattutto di proteine nobili come carne, pesce, uova e latticini”.

Fonte: askanews.it 

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Boom di richieste di adolescenti al chirurgo estetico.
Labbra carnose, zigomi pronunciati, qualsiasi parte del corpo esposta e inneggiata: queste le caratteristiche più diffuse che trasformano le persone in ‘personaggi’, dando loro un ruolo anche all’interno di questa società che non è solo l’epoca dell’immagine ma anche dell’immaginario
“Rich girl face” è il nuovo fenomeno che sta progressivamente spopolando tra ragazze e ragazzi molto giovani che frequentano gli studi di medicina estetica per subire una ‘trasformazione’ della propria immagine e assomigliare sempre di più ai canoni di bellezza percepiti secondo la moda del momento, quella diffusa tra i personaggi più popolari. La medicina estetica viene vissuta sempre più spesso come una procedura per assomigliare ai personaggi di certi ambienti ‘social’, fenomeno che sottende una modificazione dei comportamenti molto importante. I medici estetici, che vivono la situazione dall’interno, hanno iniziato a porsi delle domande, soprattutto a tutela dei pazienti più giovani, come gli adolescenti e i giovanissimi fino ai 24 anni che sono sempre più condizionati dai social media.
“Rispetto al passato – spiega Nadia Fraone, consigliere della Società Italiana di Medicina Estetica (SIME) – registriamo una vera e propria inversione di tendenza: mentre fino a pochi decenni fa si tendeva a nascondere i trattamenti di medicina estetica, adesso si pensa a quest’ultima come ‘medicina del benessere’ intesa soprattutto come possibilità di curare la propria immagine. E anche la medicina estetica risente di queste nuove richieste, non trovandosi più ad accompagnare il paziente nel percorso normale di invecchiamento ma piuttosto a ‘aiutare’ una vera e propria trasformazione della persona”.
Una medicina estetica come strumento per assomigliare a canoni di bellezza conclamati dai social media: labbra carnose, zigomi pronunciati, un corpo da esporre e esibire: queste le caratteristiche più diffuse che trasformano le persone in ‘personaggi’, dando loro un ruolo che appartiene più che all’epoca dell’immagine a quella dell’immaginario. “Si tratta di un fenomeno sociologico che rivela la fragilità e l’insicurezza dei giovani, che non hanno un’identità precisa e trovano così il modo di crearsela ad imitazione di idli dei social media – osserva la dottoressa -. È qui che interviene la consapevolezza del medico estetico, che nel suo lavoro realizza il concetto di ‘bello’ sul corpo si un’altra persona. E per far questo deve riuscire a consigliare e ascoltare il giovane paziente per far capire che corpo e psiche non sono due cose distinte ma univoche, e che il benessere passa attraverso la consapevolezza e il miglioramento di entrambi”.
L’aumento volumetrico delle labbra è l’intervento più richiesto in medicina estetica dalle giovani donne, ma anche il botulino preventivo per le rughe o l’aumento delle aree zigomatiche sono interventi molto gettonati. La ‘Rich girl face’ è un fenomeno alla portata dei più, sostenibile e raggiungibile dalla maggior parte dei ragazzi, soprattutto perché si tratta di un modo di cambiare atteggiamento nei confronti del proprio corpo e quindi del mondo esterno. Tra gli obiettivi di una specifica sessione sul tema nell’ambito del Congresso di Medicina Estetica della SIME, con il coinvolgimento di figure specializzate come psichiatra, psicologo e sociologo per la valutazione – da parte dei medici estetici – di quanto e quando è opportuno intervenire sul corpo di chi ne fa richiesta, interpretando e comprendendo le richieste di bisogni che vanno al di là delle reali necessità.

Fonte: askanews.it 

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